La Crisi Climatica e la “Povertà da Raffreddamento”: Un nuovo vettore di disuguaglianza

Nella lotta contro la crisi climatica, i più vulnerabili sono quelli che rimangono indietro, come spesso accade.

Mentre le élite globali si confrontano su strategie e piani per ridurre le emissioni e promuovere l’innovazione verde, miliardi di persone devono affrontare nuove forme di ingiustizia legate al cambiamento climatico.

Una delle emergenti e più preoccupanti è la “povertà da raffreddamento” (cooling poverty), un fenomeno che rischia di diventare una delle dinamiche più esplosive del nostro tempo. Questo problema segue la logica ormai nota: chi ha meno risorse, paga il prezzo più alto.

Cos’è la Cooling Poverty?

Con l’aumento delle temperature globali, l’accesso al raffreddamento non è più un lusso, ma una necessità fondamentale per la sopravvivenza. Tuttavia, per milioni di persone nei Paesi più caldi, l’aria condizionata o persino un ventilatore sono beni inaccessibili.

La situazione diventa ancora più grave nelle aree rurali dove l’energia elettrica è intermittente o del tutto assente. Un esempio critico è il Pakistan, dove ondate di caldo record hanno reso città come Jacobabad insopportabili, con la popolazione costantemente a rischio di colpi di calore mortali.

Non bisogna considerare questo problema come distante o irrilevante per le nostre regioni. La povertà da raffreddamento sta rapidamente diventando una minaccia globale, e chi la percepisce come una semplice mancanza di comfort si sbaglia gravemente.

La questione è molto più seria e, senza interventi immediati, è destinata a peggiorare. Il primo studio significativo sulla “cooling poverty“, pubblicato su Nature Sustainability e condotto da ricercatori di varie istituzioni tra cui l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la Fondazione CMCC, ha messo in luce che non si tratta solo di povertà energetica, ma di un insieme di vulnerabilità legate all’inefficienza delle infrastrutture fisiche, sociali e intangibili. Antonella Mazzone, autrice principale dello studio, sottolinea come la mancanza di infrastrutture adeguate esponga le persone agli effetti dannosi del crescente caldo umido.

Le Cinque Dimensioni Critiche

Per comprendere la gravità del fenomeno, i ricercatori hanno individuato cinque dimensioni chiave da considerare: clima, infrastrutture, disuguaglianze sociali, salute pubblica e istruzione, e standard lavorativi. Analizzando ciascuna di queste dimensioni, emerge chiaramente che le persone più vulnerabili, come gli anziani e chi vive in povertà, sono le più esposte ai rischi legati al caldo eccessivo.

È importante evitare generalizzazioni: la mancanza di aria condizionata non è l’unico indicatore di cooling poverty. Lo stato delle abitazioni, l’accesso all’acqua potabile negli spazi pubblici e il rispetto delle norme lavorative durante le ondate di calore sono tutti fattori cruciali per una valutazione complessiva.

È chiaro che per affrontare questa situazione critica servono interventi rapidi e risolutivi. Aumentare semplicemente il numero di impianti di condizionamento non sarà sufficiente. Occorre migliorare la pianificazione urbana, sensibilizzare la popolazione e sviluppare politiche efficaci per proteggere i più vulnerabili, come già si sta facendo in Italia con il sistema di allerta per le ondate di calore e le norme sul lavoro in condizioni di caldo estremo.

La Parola Chiave: “Adattamento”

Senza azioni immediate, il futuro porterà a disuguaglianze sempre più profonde. Tuttavia, non ci potrà essere giustizia climatica senza una giustizia sociale che abbracci tutti. E al momento, questa giustizia resta purtroppo solo un miraggio.

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