Caffè e Declino Cognitivo: berne troppo potrebbe Accelerare il dterioramento mentale

Il caffè è una bevanda amata in tutto il mondo per il suo effetto stimolante e il suo aroma avvolgente. Molti lo consumano regolarmente per migliorare la concentrazione e combattere la stanchezza quotidiana. Tuttavia, recenti studi hanno sollevato preoccupazioni riguardo al consumo eccessivo di caffè e al suo impatto sul declino cognitivo nel lungo periodo.

Effetti del Caffè sul Cervello

Il caffè, ricco di caffeina, agisce come stimolante del sistema nervoso centrale, migliorando temporaneamente la vigilanza e la concentrazione. Tuttavia, recenti ricerche suggeriscono che un consumo eccessivo potrebbe avere effetti negativi sulla salute cognitiva.

Uno studio presentato di recente alla conferenza dell’Associazione Internazionale Alzheimer (AAIC) ha rivelato che un’assunzione di oltre tre tazze di caffè al giorno è associata a un declino cognitivo più veloce nel tempo. I ricercatori hanno esaminato l’impatto di diverse quantità di tè e caffè sull’intelligenza fluida, che include abilità cognitive come il ragionamento astratto, il pensiero logico e il riconoscimento di modelli.

Implicazioni per il Declino Cognitivo

Nonostante il caffè e il tè presentino evidenze osservative ed epidemiologiche che indicano effetti protettivi contro ictus, infarto, alcuni tipi di tumori, diabete e malattia di Parkinson, l’eccesso di caffeina potrebbe accelerare il declino cognitivo. I dati suggeriscono che, sebbene il caffè possa ridurre il rischio di malattia di Alzheimer, un consumo elevato potrebbe avere effetti contrari. Kelsey R. Sewell, ricercatrice dell’Advent Health Research Institute di Orlando, ha sottolineato a Medscape Medical News: “Secondo un vecchio adagio, il troppo stroppia. Ovvero, ci vuole misura: un consumo moderato di caffè va bene, ma troppo non è probabilmente da raccomandare.”

Studio e Risultati

Nel contesto dello studio, Sewell e il suo team avevano precedentemente pubblicato risultati su anziani cognitivamente sani, riscontrando che maggiori quantità di caffè erano associate a un declino cognitivo più lento e a una minore accumulo di beta-amiloide nel cervello, un marker associato alla malattia di Alzheimer.

Tuttavia, il nuovo studio ha ampliato il campione a 8.451 persone sopra i 60 anni (età media 67,8 anni), prevalentemente donne (60%) e bianchi (97%), senza alterazioni cognitive evidenti. I partecipanti provenivano dalla UK Biobank, che contiene dati genetici e di salute di mezzo milione di persone. Il gruppo studiato aveva un Indice di Massa Corporea medio di circa 26 (leggero sovrappeso), e il 26% era portatore del gene APOE e4, considerato un fattore di rischio per l’Alzheimer.

I ricercatori hanno suddiviso i partecipanti in base al consumo di tè e caffè: elevato, moderato e nessun consumo. Il 18% del campione beveva 4 o più tazze di caffè al giorno (consumo elevato), il 58% da una a tre tazze (consumo moderato) e il 25% non beveva caffè. Per il tè, il 47% consumava 4 o più tazze al giorno (consumo elevato), il 38% da una a tre tazze (consumo moderato) e il 15% non beveva tè.

Le funzioni cognitive sono state valutate all’inizio dello studio e poi monitorate attraverso almeno due ulteriori visite. Utilizzando modelli lineari aggiustati per età, sesso, status socio-economico, etnia, gene APOE e4 e BMI, è emerso che i grandi consumatori di caffè (4 o più tazze al giorno) mostravano un declino più rapido dell’intelligenza fluida rispetto ai consumatori moderati e a chi non consumava caffè. I dati suggeriscono che un consumo moderato di caffè potrebbe avere un ruolo protettivo contro il declino cognitivo.

Conclusioni e Raccomandazioni

Per quanto riguarda il tè, lo studio ha rilevato che chi non beveva tè mostrava il maggior declino nell’intelligenza fluida rispetto a chi ne consumava moderatamente o abbondantemente. Tuttavia, essendo uno studio osservazionale, la ricercatrice ammette la necessità di ulteriori studi controllati e randomizzati per comprendere meglio i meccanismi neuroprotettivi di tè e caffè.

Sewell e il suo team sperano che una maggiore comprensione di questi meccanismi possa contribuire allo sviluppo di strategie sicure ed economiche per ritardare la comparsa della malattia di Alzheimer e ridurne l’incidenza.

Questo è particolarmente importante considerando che, secondo uno studio dell’Università di Cambridge pubblicato su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, i nuovi farmaci progettati per rallentare la progressione della malattia di Alzheimer potrebbero non fare una grande differenza nel mitigare il peso della demenza. Pertanto, ogni strategia alternativa è benvenuta.

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